DATA : 27 gennaio 2017
EVENTO: Serata a tema di interesse storico
TITOLO: “Menù Autarchico: cenni di Storia della Cucina Italiana durante il periodo bellico”

Il contesto storico
Nell’anno 1936 l’Italia si preparò ad un cambiamento radicale: l’autarchia. In seguito alle sanzioni economiche che colpirono il Regno d’Italia nel novembre del 1935 quale punizione per aver invaso l’Etiopia, Mussolini stabilì che non ci sarebbero più state importazioni od esportazioni, ma un solo unico sistema nazionale all’interno del quale bisognava trovare tutto il necessario per sopravvivere.
Le conseguenze dell’autarchia si ritorsero anche sull’alimentazione, rendendo non esportabili gli eccessi di produzione ma, soprattutto, rendendo indisponibili gli alimenti di importazione. Mussolini ben presto capì che l’alimentazione era un affare di stato, le direttive al riguardo furono impartite direttamente da lui e non furono mai fini a se stesse o al benessere del popolo, bensì mirate a supportare e a risolvere i problemi comportati dalle scelte economiche del suo governo. Furono ossessivi e ricorrenti gli slogan e i manifesti che avevano l’intento di disciplinare gli italiani al riguardo: la campagna a favore degli orti di guerra (su ogni terrazzo, su ogni balcone, nelle vasche da bagno), a favore dei prodotti ittici (autarchici per eccellenza in una Nazione che possedeva il più bel mare del mondo) o a favore dell’industria italiana del riso (perché la produzione di frumento scarseggiava). Una menzione a parte per “Il Sacro pane”, campagna di sensibilizzazione a favore di questo alimento “gloria dei campi, orgoglio del lavoro, gioia del focolare” affinchè non venisse mai sprecato o sciupato: le briciole per il pan grattato, il pane raffermo doveva essere inzuppato nelle minestre, non si lasciava il pane sbocconcellato sulla tavola. Indicazioni che trovarono, al riguardo, consenso nel popolo perché fondati sul comune buon senso.
Ma ciò che accomunava tutta la nazione era la fame e il deperimento (il popolo stringeva le cinture fino all’ultimo buco quello chiamato “foro Mussolini): la guerra fu combattuta sui fronti militari ma vissuta nelle case, nei paesi e nelle città dove le restrizioni e le difficoltà di rifornimento (si pensi alla venuta del tesseramento) aggravarono una situazione già abbastanza critica alla quale però il popolo fu in grado di reagire con grinta e vigore.

I progressi della cucina italiana
Il parere comune porterebbe a pensare che durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia si mangiassero sempre gli stessi alimenti, e ciò è innegabile, ma non ci si deve fermare a questo primo passaggio: è essenziale analizzare come in tavola si servissero sempre piatti originali, cucinati in modo diverso, serviti in modo originale. E’ qui che riscontriamo il più grande progresso di questi periodi, l’abilità di riproporre la stessa materia prima in svariati e molteplici modi. Fino ai primi anni del novecento si conoscevano in media due o tre modi di preparare un alimento, perché esisteva varietà di prodotti. Quando ciò venne a mancare, si cominciò a riflettere su nuovi espedienti per variare l’alimentazione e si ebbero ricettari ricchi di alternative per cucinare lo stesso cibo, in molteplici modi, con un guizzo di genialità tipicamente italiano.
L’alimento base fu il grano che si usava per ottenere la pasta, la farina, per fare i dolci, macinato veniva aggiunto alla minestra per dare un po’ di consistenza e poi per fare la polenta. Ecco che allora leggiamo nei ricettari: tortini di polenta, polenta e fontina al forno, tortiera di polenta, strati di polenta, polenta con le acciughe, polenta sfatta o fette di polenta condite.
La carne scarseggiava, per lo più si consumavano animali da cortile perché i bovini e le stesse galline, per chi aveva la fortuna di possederne, venivano sfruttati fino all’ultimo per la produzione di latte e uova in grado di fornire proteine. Leggiamo: uova accompagnate ad un piccolo pezzo di formaggio, uova con i pomodori o con i peperoni, oppure in frittata con verdure disponibili, zucchine o spinaci, oppure anche solo con un po’ di prezzemolo. Una ricetta arricchisce l’uovo con un morbido ripieno di tuorlo tonno acciughe e limone.
Tuttavia quando anche latte e uova scarseggiavano, le proteine venivano prese dai legumi, dai fagioli in particolare perché richiedevano tempi di cottura minori rispetto ai ceci o alle fave. Nulla era più nutriente della pasta e fagioli, un continuum di tradizioni, un piatto completo ancora oggi apprezzato sulla nostra tavola.
Il riso, frutto del lavoro delle mondine, iniziò ad essere apprezzato dal popolo (la pasta anch’essa scarseggiava) che cercò di sostituirlo alla pasta cucinandolo con legumi o verdure. Si iniziò a metterlo nella minestra, che a poco a poco divenne sempre più asciutta, un piatto cremoso e saporito: non a caso il risotto alla milanese ritornò prepotentemente sulla scena gastronomica italiana di quel periodo.
Infine, ma non da ultimo per importanza, le verdure, qualsiasi prodotto dell’orto in una varietà infinita di minestre e creme, ma anche condite con salse (un intingolo piccante con limone aglio e capperi, oppure con il pomodoro, oppure ancora con una salsa bianca al latte ovvero una salsa al profumo di Marsala) altrimenti si preparavano torte salate e sformati aggiungendo un po’ di uovo e del pan grattato. Di questo periodo poi la verdura conservata sott’olio o sotto aceto, la frutta trasformata in marmellate o frutta sciroppata, tutto costituiva provvista per l’inverno.
…e poi arrivarono gli Americani
Furono accolti con i loro camion colmi di tutto quello che la gente comune aveva sempre desiderato o che addirittura non aveva mai visto come i cibi liofilizzati: bastava un apriscatole e si era già pronti a mangiare, dopo un lungo periodo di stenti e di lunghe file, di corse verso la campagna per potersi assicurare qualcosa da mangiare. Le nostre uova “made in Italy” scambiate dai soldati americani con cioccolata e carne in scatola. Nessuno aveva mai mangiato un chewing-gum o bevuto un cocktail: si iniziò a bere l’Alexander, una bevanda alcolica a base di gin, crema di cacao e panna liquida, in onore del comandante delle truppe alleate in Italia.
Il caffè non fu più d’orzo o di cicoria, ma fu caffè-caffè.
Nel menù della serata viene servito come aperitivo un analcolico che trova la sua origine nel 1932 quando l’azienda “San Pellegrino” cercò e trovò un surrogato alla Coca-cola americana, con dei frutti comuni in Sicilia e nel meridione: il chinotto.
La conoscenza genera consapevolezza: sapere di cosa si nutrivano negli anni ’40 con questa breve esposizione, non è stato solo frutto di curiosità, ma uno spunto per comprendere le dinamiche dei grandi avvenimenti, anche attraverso la tavola.

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