Formaggio d’alpeggio: Val Biandino

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DATA: Lunedì 17 luglio 2017

LUOGO: Val Biandino (m. 1500) – si addentra dal paese di Introbio (Valsassina) verso nord-est, fino a raggiungere le pendici del Pizzo dei Tre Signori

Da Introbio parte una comoda strada che, costeggiando il torrente Troggia, sale fino a raggiungere la Bocca di Biandino ovvero l’inizio della Val Biandino: la risalita può essere fatta a piedi oppure con le jeep grazie al servizio di trasporti organizzato dai rifugisti. La valle si apre e si presenta ampia ai propri occhi: in pochi minuti si può raggiungere il Santuario della Madonna della Neve, simbolo della valle, per poi proseguire verso il Lago di Sasso con le sue acque verdi-azzurre e accompagnati dal fischio delle numerose marmotte che abitano la valle. Molteplici però sono le escursioni di trekking che trovano nella Val Biandino il loro punto di partenza così come numerosi sono i rifugi che si incontrano lungo i vari itinerari.

La strada che da Introbio risale la Val Biandino ha avuto nei secoli una particolare importanza storica. Punto di transito, ricca di acqua e di pascoli, la conca venne percorsa da eserciti, mercanti, pellegrini, come parte della strada più breve di collegamento tra la pianura e la Valtellina. La storia socio-economica della valle si lega poi anche alla attività delle miniere, numerose e rimaste in funzione fino a fine Ottocento, con una ripresa operativa anche negli anni dell’autarchia del ventennio fascista.

Ma è al pascolo che vogliamo guardare, leggiamo qui di seguito la testimonianza di Giuseppe Invernizzi, direttore delle Associazioni Provinciali Allevatori di Como-Lecco, che ha narrato la Storia Casearia della Valsassina e del suo Stracchino, lo scorso agosto in un incontro tenutosi presso il Mercato Agricolo con la Pro Loco di Ballabio: 

“All’epoca la grande maggioranza delle famiglie rurali della fascia montana tra la Valsassina e l’alta val Sabbia viveva con una o due mucche, un vitello e un maiale negli spazi ristretti di stalle e pascoli offerti dalla tradizione insediativa della montagna: bergamì diventava chi riusciva, non senza sacrifici, ad allargare la mandria a dieci, venti bovini. Passati da un’economia di sussistenza a un’economia di produzione, questi allevatori di montagna si trovarono a dover iniziare la pratica della transumanza per garantire un foraggio adeguato ai propri animali.
E così, ogni anno, contraddistinti dall’immancabile grembiale da casaro di tela azzurra detto scussaar, dal cappello rotondo di feltro scuro e dal tabarro di lana, i bergamini erano soliti abbandonare gli alpeggi dopo la festa di San Michele per passare l’inverno in pianura, nel basso milanese, nel cremonese e nel lodigiano, tornando sui monti solo a metà aprile. A seconda del tragitto le carovane potevano viaggiare per oltre una settimana, coprendo distanze dai 50 ai 150 km e sostando spesso nelle piazze dei paesi dove gli animali si dissetavano agli abbeveratoi pubblici. Si stima che 20-25mila vacche da latte in 700-800 mandrie, accompagnate da 6-7mila persone, si spostassero tra pianura e montagna ancora agli inizi del ‘900.
Ciò che li spingeva a compiere una tale fatica non era l’aspirazione a diventare un possidente, ma piuttosto la caseificazione, la stalla e l’amore per le mucche. “La nascita dello stracchino, così come degli altri formaggi, è da attribuirsi a questo stile di vita nomade, che costringeva i bergamini a sperimentare nuovi metodi di conservazione del latte eccedente” ha spiegato Invernizzi. A differenza della maggior parte dei formaggi però, lo stracchino era identificato e definito da un preciso processo produttivo che prevedeva l’avvio della coagulazione immediatamente dopo la mungitura aggiungendo il caglio al latte appena munto, ancora caldo del calore corporeo della vacca, senza necessità di utilizzo del fuoco.
“È un formaggio che si può produrre con gli animali al pascolo, in continuo spostamento alla ricerca di foraggio fresco. Il nome si riferisce infatti all’aggettivo “stracco”, ad indicare la condizione delle mandrie di vacche in transumanza per centinaia di chilometri dalle Alpi alle Valle Padana”. Secondo quanto riportato da Fedele Massara in un suo scritto del 1866, la semplicità di questa lavorazione annovererebbe lo stracchino tra i più antichi formaggi, sicuramente precedente al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano.

Cosa accade oggi, estate 2017? Accade che esistono allevatori che per caparbietà, per amore per il proprio territorio e per il proprio bestiame, insieme al perpetuare delle tradizioni e a sostegno della propria attività economica, salgono con il proprio bestiame in Val Biandino dando vita ad una transumanza che dal basso valle intorno a Pasturo li riporta in alpeggio; lì alloggiano nelle proprie baite, accudiscono gli animali guidandoli al pascolo come una scolaresca in vacanza, facendo attenzione a cambiare ogni giorno “il pasto”. Si comincia alle 3.30 quando la luce della luna rischiara la vallata, con la prima mungitura grazie all’ausilio di apposite mungitrici per circa 2 ore poi si riporta alla baita il primo carico di latte. Qui c’è qualcuno che non ha seguito il gruppo alla mungitura ma si è fermato per preparare la caldaia in rame e poter così lavorare il latte a crudo appena munto usufruendo del calore naturale, a cui si aggiunge il caglio. Una volta ottenuta la cagliata, si effettua la prima rottura dopo circa 45 minuti e si rivolta la massa caseosa. Si procede al taglio con la spannarola fino ad ottenere una consistenza a grana di nocciola. Si estrae la massa e la si ripone con telo di lino: qui inizia un lavoro di sapienza e abilità nel rimestare, strofinare, spurgare ciò che poi diventerà Stracchino della Valsassina contraddistinto dalla forma a parallelepipedo di 20 cm e scalzo di 4 cm. Il peso di ogni forma oscilla intorno ai 1500 gr. La pasta liquefatta nel sottocrosta e più gessata nel cuore della forma, è di colore bianco all’esterno, progressivamente gialla verso l’interno. Infine diventa rossastra quando il formaggio è più maturo ed è fiorita di diversi colori.

Bene sono passate le 8.00 del mattino, ci si avvia al pascolo, un po’ qui un po’ là, un po’ più su lungo la vallata. Le mucche risuonano con i loro campanacci, una melodia per chi le ascolta. Dopo le 13.00 le mucche vengono radunate in prossimità dei carri: per i pastori è ora di fare una breve sosta con un pranzo in grado di ridare loro un po’ di forza. Ore 14.30: si riparte per la seconda mungitura e la storia si ripete, uguale, metodica e precisa. Ma quel latte porterà con sé i sapori e i profumi di quell’erba brucata al pascolo e produrrà un formaggio ricco e in grado di conservare tanta freschezza, tranquillità e laboriosità. Dopo un paio d’ore, le mucche vanno “in cena” pascolano e si ritirano verso le ore 19.00. Ci sono i secchi, i contenitori i teli da lavare…ora la giornata può dirsi conclusa.

Se la storia vi ha appassionato, vi consigliamo la visione di questo video: